Pubblicità comportamentale: annunci pubblicitari legati al comportamento degli utenti su Internet
Chi in rete cerca delle calze, non comprerà presumibilmente uno skateboard. Questo particolare esempio ha un senso ben specifico nel mondo della pubblicità, e cioè che gli annunci pubblicitari irrilevanti sono del tutto futili. Inoltre il posizionamento di annunci pubblicitari in modo non ponderato comporta dei costi superflui. Perciò l’individuazione degli interessi dei singoli utenti è di centrale importanza, sia per i commercianti online sia per le agenzie di servizi pubblicitari.
L’efficacia di annunci pubblicitari mirati è dimostrata dai motori di ricerca, come Google, dove le parole chiave servono da indizio utile per comprendere le intenzioni degli utenti. Chi è alla ricerca di un hotel a Barcellona, tanto per fare un esempio, risulterà molto probabilmente sensibile ad un annuncio pubblicitario corrispondente. Se i commercianti online riescono a orientare in maniera precisa i propri annunci, allora questi non verranno recepiti come fastidiosi. Al contrario talvolta rappresenteranno addirittura un valore aggiunto.
Ma le forme pubblicitarie legate ai motori di ricerca non sono le uniche a fare affidamento sui segnali dell’utente per aumentare la rilevanza dell’annuncio per i potenziali clienti. Se il comportamento dell’utente sta al centro della strategia, allora si parla di pubblicità comportamentale o, per usare il termine inglese, behavioral targeting. Chiaramente esso è talmente amato dai pubblicitari, quanto è odiato da coloro che hanno a cuore la tutela dei propri dati personali.
Che cos’è la pubblicità comportamentale?
Se la pubblicità online manca di rilevanza, verranno a mancare anche i click. Per rendere al minimo la dispersione, gli inserzionisti puntano in maniera crescente sul targeting, ovvero l’indirizzamento degli annunci verso uno o più gruppi di rifermento. Le possibilità per rintracciare gli interessi di una determinata porzione di utenti sono varie. La forma più semplice degli annunci mirati è data dal Content Targeting, con il quale gli annunci pubblicitari vengono adattati al tema redazionale della pagina. Ad esempio, nel caso di un sito informativo per vegani, una pubblicità di coltelli specifici per il taglio della carne risulterebbe decisamente fuori luogo, mentre al contrario annunci riguardanti il granulato di soia o la farina d’avena potrebbero rappresentare una buona scelta. Il targeting semantico si spinge ancora oltre, tentando di determinare le differenze tematiche all’interno di un sito web, così da essere sicuri di posizionare la pubblicità solo all’interno delle rubriche più adatte. Se, invece, vengono presi in considerazione criteri quali l’età, il sesso, l’occupazione lavorativa, lo stipendio, ecc., allora si parlerà di targeting sociodemografico. Il Geotargeting, al contrario, si occupa di localizzare la posizione geografica di un utente. Per fare ciò è chiaramente necessario utilizzare dei procedimenti tecnici appartenenti al campo della geolocalizzazione. Per quello che viene invece definito targeting tecnico, risultano di fondamentale importanza per i pubblicitari le impronte digitali lasciate dagli utenti su un sito web. Ogni utente lascia delle tracce in rete. All’interno della stringa user agent (un marchio distintivo che indica l’identità di tutti i browser su Internet) non è contenuto unicamente l’indirizzo IP, bensì anche molte altre informazioni attraverso le quali è possibile riconoscere un utente in Internet. Le informazioni, lette in automatico, sono quelle relative al browser utilizzato, alla versione del browser, al sistema operativo e alle impostazioni relative alla lingua e al font utilizzato. In aggiunta JavaScript e Flash forniscono informazioni dettagliate riguardo ai plug-in installati. Essendo che gli utenti hanno ben pochi mezzi per difendersi dal targeting tecnico, questo procedimento di raccolta dei dati utente è criticato dai consumatori e da coloro che si occupano della protezione dei dati personali. Se l’impronta digitale di un utente viene utilizzata per seguire costui durante la navigazione e registrare il suo comportamento, si parlerà allora di behavioral targeting, o pubblicità comportamentale. Questo tipo di targeting non fa necessariamente affidamento sulla firma del browser. Di frequente il tracking dell’utente avviene per mezzo dei cosiddetti cookies, dei piccoli file di testo che vengono memorizzati sul dispositivo dell’utente, rendendo possibile il behavioral targeting anche senza dover interpretare la stringa fornita dal browser. L’utilizzo dei cookies è considerato la modalità per così dire “pulita” della raccolta dati degli utenti, considerando che questi possono all’evenienza essere bloccati tramite le impostazioni del browser.
Come funziona la pubblicità comportamentale?
Al fine di aumentare la rilevanza delle inserzioni pubblicitarie, i gestori dei siti web raccolgono più informazioni possibili riguardo al comportamento dei potenziali clienti, così da seguire lo sviluppo delle loro interazioni con i siti web rilevanti da un punto di vista tematico. Per poter fare ciò è necessario che un cliente che ha visitato un determinato sito web possa essere identificato anche durante visite successive allo stesso sito o a siti simili. Per questo motivo la logica pubblicitaria punta in primis sui cookies e sui profili utenti anonimi.
Cookies
Per cookies, che in italiano significa letteralmente “biscotti”, si intendono delle informazioni testuali che durante la visita di un sito tramite un browser vengono salvate sul computer di un utente. I cookies vengono forniti dal server web o vengono generati attraverso uno script sul sito stesso. Dopo la prima volta che i cookies vengono creati sul computer di un utente, tutte le volte che quell’utente visiterà lo stesso sito web, le informazioni dei cookies verranno automaticamente comunicate al server web. In questo modo il server web sarà in grado di identificare il visitatore e associarlo a un profilo utente specifico.
Se i cookies vengono assegnati dal gestore di un sito web solo in relazione alla propria offerta, allora si parla di First Party Cookies. Ma solitamente il Behavioral Targeting prevede la messa in connessione di più siti alla volta. Quando questo è il caso si utilizzano allora i cosiddetti Third Party Cookies, ovvero i cookies forniti da terzi, i quali possono essere integrati su ogni sito web partner da operatori pubblicitari specializzati. Tramite le impostazioni sulla privacy molti browser danno la possibilità di differenziare tra First e Third Party Cookies mettendo gli utenti nella condizione di bloccare anche solo il tracking di terze parti.
Profilo utente
I cookies forniscono ai gestori di siti web e alle agenzie di servizi pubblicitari delle informazioni dettagliate su quali siti web vengono visitati dagli utenti e sulle interazioni che si verificano sulla pagina. Se questi dati vengono archiviati centralmente in uno stesso luogo di archiviazione, allora si parlerà di un profilo utente. Un profilo utente permette, in base al grado di precisione dei dati raccolti, di determinare gli interessi, le intenzioni d’acquisto e la gestione del tempo libero dei vari utenti; tutte queste sono informazioni importanti che aiutano gli operatori pubblicitari a raggruppare i visitatori dei siti web in gruppi di clienti concreti e nei canali utente corrispondenti. Al fine di creare i profili utenti, i gestori dei siti web si servono di tool di analisi come Google Analytics, Piwik o eTracker. Questi vengono integrati nel codice sorgente di un sito web per mezzo di un tracking code, così da permettere un’ampia analisi dei movimenti degli utenti. Ad ogni modo per far sì che il gestore di un sito web possa utilizzare i profili utenti conformemente alle leggi italiane, è necessario che l’utente dia il suo consenso esplicito o che i dati siano raccolti in maniera del tutto anonima. Se volete scoprire come inserire correttamente il tracking code del tool di analisi che si intende utilizzare, potete leggere questo articolo riguardo l’analisi web e la tutela dei dati.
Reti pubblicitarie
Nel campo della pubblicità il Behavioral Targeting rimane difficilmente confinato a dei singoli siti web. Google, come altre aziende che operano nel settore del web marketing, associano diverse piattaforme online alle reti pubblicitarie, così da mostrare agli utenti gli annunci pubblicitari fatti su misura per loro. Mentre però i provider minori collaborano solo con dei partner scelti, Google Display Network è potenzialmente aperto a tutti i gestori di siti web. Infatti include più di due milioni di siti web e raggiunge così oltre il 90 percento di tutta l’utenza mondiale. Tutti gli erogatori di servizi operanti nel web marketing come Google DoubleClick, Facebook, Ad Pepper, TradeDoubler, Ligatus e molti altri ancora, servono come intermediari tra gli inserzionisti e gli editori. Il procedimento è il seguente: i gestori di siti web che fanno parte di una rete pubblicitaria mettono a disposizione la superficie per le inserzioni, la quale viene riempita dai marketer in base alle necessità, con annunci contenenti testi e immagini dei loro clienti. La suddivisione degli spazi pubblicitari avviene centralmente tramite uno o più Ad server. Si tratta di fatto di un sistema gestionale basato su banca dati, che si occupa della gestione degli spazi per le inserzioni pubblicitarie. Gli Ad server sono responsabili per la memorizzazione e la distribuzione di tali spazi e permettono inoltre di misurare il successo degli annunci pubblicitari tramite le impressioni e i click. Invece di incorporare il banner pubblicitario con il link al servizio direttamente nel codice HTML di un sito web, lo spazio pubblicitario viene dotato di uno script. Tale script fa sì che il browser dell’utente invii una richiesta all’Ad server, richiesta che prende il nome di Ad request. Così facendo si possono mettere in connessione le richieste in entrata con i profili utente. Una volta identificato il visitatore di un sito web, l’Ad server cerca l’annuncio adatto alle sue esigenze e invia un pacchetto di risposta al browser. La scelta degli annunci pubblicitari avviene in parallelo con il caricamento del sito web, individualmente per ogni singolo visitatore. Quando viene cliccato su un banner pubblicitario, l’utente viene reindirizzato come prima cosa all’Ad server, il quale protocolla l’interazione dell’utente e la inoltra al sito web del prodotto pubblicizzato. Le reti web pubblicitarie si estendono per vaste porzioni di Internet, offrendo così una vasta rappresentazione delle abitudini di navigazione dei potenziali clienti. I dati che vengono raccolti su un sito associato vengono gestiti centralmente tramite l’Ad server e vengono messi a disposizione per l’impostazione delle campagne pubblicitarie in tutta la rete. Questo permette agli operatori pubblicitari di realizzare delle strategie pubblicitarie personalizzate come ad esempio il Retargeting, ovvero una strategia che prevede che agli utenti vengano mostrati gli annunci dei prodotti verso i quali hanno già mostrato interesse in passato.
Predictive Behavioral Targeting
Il Predictive Behavioral Targeting è una variante della pubblicità comportamentale, con la quale vengono conferiti ai gruppi di utenti anonimi delle caratteristiche specifiche sulla base di previsioni statistiche. Può trattarsi di caratteristiche sociodemografiche come l’età, il sesso, il reddito, gli studi o gli interessi. Durante la creazione di modelli di predizione, i pubblicitari fanno affidamento su informazioni riguardo al comportamento di navigazione, alle richieste e ai dati pervenuti ai sistemi di gestione clienti.
Oltre alla statistica descrittiva, alle analisi Click Stream e alla statistica multivariata, vengono sempre più utilizzati anche i metodi di Data Mining, in modo da riuscire a processare le sempre crescenti montagne di dati alla ricerca dei trend e dei collegamenti trasversali. L’obiettivo del Predictive Behavioral Targeting sono i profili utente statistici, quelli che nel linguaggio specifico vengono chiamati personas, secondo le quali è possibile classificare i visitatori dei vari siti web.
Qual è lo scopo della pubblicità comportamentale?
In linea di massima la pubblicità può essere considerata efficace se raggiunge l’obiettivo prefissato. Se un’inserzione non ha rilevanza per gli utenti sul web, è improbabile che ne derivino dei click, e conseguentemente la prospettiva di una conversione si allontana. Tra gli addetti ai lavori si parlerà in questo caso di perdita per dispersione. La pubblicità mirata aiuta non poco a ridurre la dispersione e ad aumentare quindi l’efficacia degli annunci. L’obiettivo del Behavioral Targeting è l’aumento del conversion rate, in quanto questo è il parametro di riferimento per analizzare le misure pubblicitarie online intraprese.
La chiave del successo è l’interesse dell’utente. Qualunque annuncio che si trovi al posto giusto al momento giusto offre un valore aggiunto, convincendo l’utente a cliccare sull’inserzione, il che potenzialmente potrebbe portare a una conversione. E se anche questo non dovesse avvenire immediatamente la prima volta, questo non significa che il cliente sia perduto. Infatti è comunque possibile rivolgersi ad intervalli regolari agli utenti che acconsentono alla ricezione della pubblicità personalizzata (opt-in) e che non vi rinunciano esplicitamente (opt-out). I cookies permettono agli inserzionisti di accompagnare i clienti in rete e di richiamare alla mente prodotti o prestazioni di servizi adeguati.
Aspetti legali in relazione alla pubblicità comportamentale
Le associazioni consumatori guardano all’enorme quantitativo di dati raccolti dalle multinazionali e dai web marketer con diffidenza. E le metodologie pubblicitarie come la pubblicità comportamentale sono proprio al centro delle loro attenzioni. Il loro timore è quello che i dati comportamentali possano venire collegati ai dati personali. Sebbene i pezzi grossi del settore non smettano di ribadire che i dati personali vengono raccolti in maniera del tutto anonima, teoricamente l’impegno richiesto al gestore di uno shop online per comparare i risultati delle analisi web con i dati delle banche dati dei clienti sarebbe davvero minimo. Nell’ormai lontano 1996 è stato istituito in Italia il Garante per la protezione dei dati personali, ovvero un’autorità amministrativa indipendente che si occupa, come suggerisce il nome, della tutela della privacy. Nel 2015 sono state introdotte più tutele e maggiore chiarezza nelle regole concernenti la privacy degli utenti per quel che riguarda la profilazione online. I risultati che ne conseguono sono i seguenti:
- Tutele per tutti gli utenti: qualunque società che si occupi di profilazione dei dati degli utenti online deve tutelare sia la privacy degli utenti autenticati, ovvero i possessori di un account per il sito web in questione, così come quella degli utenti sprovvisti di account, che sta a significare chiunque visiti il sito web durante la navigazione;
- informativa: l’informativa riguardante il trattamento dei dati deve essere chiara, completa, esaustiva e ben visibile sin dalla prima pagina del sito in questione;
- consenso: ogni attività comprendente il trattamento dei dati personali dell’utente per finalità di profilazione, che non sia la fornitura del servizio stesso, necessita assolutamente del consenso dell’utente;
- conservazione: in base alla finalità perseguita devono essere rispettati i tempi di conservazione dei dati sulla base delle norme del Codice privacy.
Se volete approfondire la tematica della profilazione online da un punto di vista legislativo potete leggere l’articolo sul sito ufficiale del Garante della privacy o direttamente le linee guida fornite dalla stessa autorità.
Che cosa si intende per dati personali?
La definizione di dati personali fornita dal Garante è la seguente:
“Sono dati personali le informazioni che identificano o rendono identificabile una persona fisica e che possono fornire dettagli sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica, ecc.”
Sottolinea così che di particolare importanza sono tre diverse tipologie di dati relativi ai dati personali: i dati identificativi, i dati sensibili e i dati giudiziari. Per dati identificativi si intendono tutte quelle informazioni che permettono l’identificazione diretta di una persona, quali possono essere i dati anagrafici, un’immagine della persona, ecc. I dati sensibili consistono in tutti quei dati che riguardano la sfera più intima di un dato soggetto, come ad esempio la vita sessuale, le origini etniche e raziali, le convinzioni religiose, l’orientamento politico, ecc. Infine i dati giudiziari sono quei dati idonei atti a rivelare provvedimenti in materia di casellario giudiziale, di sanzioni amministrative, di carichi pendenti, ecc.
Indirizzi IP come dato personale
I soggetti che si battono per la protezione dei dati considerano l’indirizzo IP un dato personale, nonostante il fatto che si tratti di un dato dinamico, in quanto partendo proprio da esso è possibile risalire alla persona che naviga in rete, ad esempio tramite l’Internet Service Provider (o più semplicemente provider); e per questo a loro avviso dovrebbe essere mantenuto anonimo. Questa posizione è stata rafforzata dalla sentenza della corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che nel maggio 2016 si è espressa a favore di Patrick Breyer, esponente politico del partito dei Pirati (Piratenpartei in tedesco) in Germania, nella controversia tra quest’ultimo e la Repubblica Federale tedesca. La disputa era nata dal fatto che alcuni siti accessibili al pubblico e gestiti dai servizi federali tedeschi registravano e conservavano gli indirizzi IP degli utenti anche una volta conclusasi la sessione di consultazione. Questa è stata tra l’altro la prima pronuncia da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea in materia di protezione dei dati personali.
Direttive dell’Unione Europea sulla comunicazione elettronica
Anche i cookies forniscono tra le altre cose dei dati che permettono di risalire all’identità dell’utente, la causa è da ritrovarsi proprio nella loro natura associativa. Le direttive dell’Unione Europea relative al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche così come la direttiva in materia di cookies prevedono che l’utente venga informato dell’installazione dei cookies e dello scopo di utilizzo dei dati raccolti. Per confermare che questo avvenga è necessario un consenso. La messa in pratica di tali direttive è però affidata ai singoli stati, che hanno la possibilità di gestire la cosa a loro discrezione. In un altro articolo riguardante nello specifico il tema dell’applicazione della normativa europea sui cookie in Italia potete trovare tutto ciò che è necessario sapere per i gestori di siti web e per i web marketer.